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Sul contrasto tra il nuovo art. 93, comma, 1 bis, D.lgs., 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni e le norme europee e internazionali vigenti.

PER CONOSCERE GLI SVILUPPI DELLA VICENDA SI VEDA QUESTO ARTICOLO

Il decreto legge n. 113, del 4 ottobre 2018 (in G.U. 04/10/2018, n.231), convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 1 dicembre 2018, (in G.U. 03/12/2018, n. 281), ha disposto nel Capo II, Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa, (art. 29-bis, comma 1, lettera a), l’introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, 7-bis e 7-ter all’art. 93 del Codice della Strada.
La modifica introdotta dal c.d. Decreto Sicurezza I ha l’intento dichiarato di stanare e punire i “furbetti” delle targhe che immatricolano le loro auto all’estero intestandole a prestanome per risparmiare su bollo, assicurazione e per ostacolare la notifica di sanzioni. Le modifiche introdotte recitano:
Art. 93.
Formalità necessarie per la circolazione degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi
1. Gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi per circolare devono essere muniti di una carta di circolazione e immatricolati presso il Dipartimento per i trasporti terrestri.
 
1-bis. Salvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero.
 
1-ter. Nell’ipotesi di veicolo concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice doganale comunitario, a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall’intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente.
 
1-quater. Nell’ipotesi di cui al comma 1-bis e ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste dal comma 7-bis, se il veicolo non è immatricolato in Italia, l’intestatario chiede al competente ufficio della motorizzazione civile, previa consegna del documento di circolazione e delle targhe estere, il rilascio di un foglio di via e della relativa targa, ai sensi dell’articolo 99, al fine di condurre il veicolo oltre i transiti di confine. L’ufficio della motorizzazione civile provvede alla restituzione delle targhe e del documento di circolazione alle competenti autorità dello Stato che li ha rilasciati.
(…)
7-bis. Per la violazione delle disposizioni di cui al comma 1-bis si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 712 a euro 2.848. L’organo accertatore trasmette il documento di circolazione all’ufficio della motorizzazione civile competente per territorio, ordina l’immediata cessazione della circolazione del veicolo e il suo trasporto e deposito in luogo non soggetto a pubblico passaggio. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 213. Qualora, entro il termine di centottanta giorni decorrenti dalla data della violazione, il veicolo non sia immatricolato in Italia o non sia richiesto il rilascio di un foglio di via per condurlo oltre i transiti di confine, si applica la sanzione accessoria della confisca amministrativa ai sensi dell’articolo 213.
 
7-ter. Per la violazione delle disposizioni di cui al comma 1-ter, primo periodo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000. Nel verbale di contestazione è imposto l’obbligo di esibizione del documento di cui al comma 1-ter entro il termine di trenta giorni. Il veicolo è sottoposto alla sanzione accessoria del fermo amministrativo secondo le disposizioni dell’articolo 214, in quanto compatibili, ed è riconsegnato al conducente, al proprietario o al legittimo detentore, ovvero a persona delegata dal proprietario, solo dopo che sia stato esibito il documento di cui al comma 1-ter o, comunque, decorsi sessanta giorni dall’accertamento della violazione. In caso di mancata esibizione del documento, l’organo accertatore provvede all’applicazione della sanzione di cui all’articolo 94, comma 3, con decorrenza dei termini per la notificazione dal giorno successivo a quello stabilito per la presentazione dei documenti.
Quindi, escluse poche eccezioni di cui a breve, chi ha la residenza in Italia da oltre 60 giorni, se rinvenuto alla guida di un veicolo con targa estera, subirà una sanzione pecuniaria e il sequestro del veicolo ex art. 213 CdS. A riguardo si precisa che, a causa di altra criticabile norma del Codice della Strada (art. 207, comma 2 e 2 bis), il trasgressore, per evitare il fermo amministrativo immediato e i conseguenti ulteriori oneri economici, dovrà versare nelle mani dell’agente accertatore una ingente cauzione o pagare immediatamente la sanzione in misura ridotta.
Ci si rende subito conto che il divieto così come formulato, rende punibili condotte tutt’altro che fraudolente (o mafiose, come si dovrebbe presumere dall’intitolazione del Capo II del decreto). Basti far riferimento a un caso di cronaca occorso nei primi mesi di vigenza della norma: la madre di uno studente che si è trasferito in Italia per continuare gli studi è andata a trovarlo con la sua macchina. Insieme intraprendono un viaggio fino alla prossima città per visitarla. Al ritorno, la madre, proprietaria dell’auto, è stanca e lascia la guida al figlio. L’auto viene fermata da una pattuglia della Polizia, gli agenti, riscontrati tutti i presupposti di legge applicano la sanzione pecuniaria e il sequestro previsti dall’art. 93 CdS. Si ipotizzi altrimenti il caso in cui uno studente, nell’ambito di un programma ERASMUS, si trasferisca per 10 mesi in Italia e si serva della sua auto straniera. Dopo solo 2 mesi di permanenza sarà passibile di sanzione ai sensi dell’art. 93, comma 1 bis e 7 bis.
Ma vediamo le eccezioni previste.
Dalla lettura del comma 1 ter, si evince che gli estensori della norma si sono posti il problema delle limitazioni della concorrenza e della libertà di prestazione di servizi nello spazio economico europeo che sarebbero potute derivare dalla introducenda norma e hanno, di conseguenza, escluso dal divieto chi è alla guida di auto concessa in leasing da imprese europee senza sede in Italia e chi guida l’auto del suo datore di lavoro europeo. Con tale eccezione, peraltro, s’introduce già il nuovo inganno a cui i veri evasori potranno ricorrere per continuare nelle loro condotte illecite: sarà sufficiente utilizzare aziende di leasing estere per continuare a condurre auto con targhe estere e non pagare, per esempio il c.d. maxibollo sulle auto di grande cilindrata.
Ma il legislatore non ha approfondito di molto lo studio della compatibilità del divieto introdotto dall’art. 93, comma 1 bis, CdS con le norme europee e convenzionali consegnandoci una norma in eclatante contrasto con il diritto alla libera circolazione nello spazio economico UE e il diritto internazionale Convenzionale sulla circolazione dei veicoli.  Quindi, il nuovo illecito introdotto, senza centrare l’obbiettivo dichiarato, colpisce illegittimamente una moltitudine di soggetti che esercitano, come si vedrà appresso, il loro diritto di circolazione comminando pesanti sanzioni.
La Direttiva CEE 83/182 sulle franchigie fiscali per l’importazione temporanea di veicoli a motore da altri stati membri, all’art. 3, stabilisce che “È concessa una franchigia dalle imposte e tasse di cui all’articolo 1 (ndr. imposta sulla circolazione dei veicoli, c.d. Bollo Auto), per una durata continua o non continua non superiore a sei mesi per ogni periodo di dodici mesi, all’atto dell’importazione temporanea dei veicoli da turismo, delle roulottes da campeggio, delle imbarcazioni da diporto, degli aerei da turismo e dei velocipedi, alle seguenti condizioni : a) il privato che importa i suddetti beni deve : aa) avere la sua normale residenza in uno Stato membro diverso da quello dell’importazione temporanea ; bb) utilizzare i suddetti mezzi di trasporto per uso privato”
Per residenza normale l’art. 7, della stessa direttiva, s’intende, “ il luogo in cui una persona dimora abitualmente, ossia durante almeno 185 giorni all’anno (…) Tuttavia, nel caso di una persona i cui legami professionali siano situati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in due o più Stati membri, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente. (…) La frequenza di un’università o di una scuola non implica il trasferimento della residenza normale.
La direttiva impone agli Stati membri di astenersi dall’imporre le proprie imposte sulla circolazione di veicoli a persone che per meno di 185 giorni all’anno dimorino sul territorio Italiano o che, pur dimorandovi per un periodo più lungo, mantengano i propri legami personali in un altro Stato membro. Tornando al nostro esempio dello studente peraltro, la direttiva lo considera non residente nel paese ospitante a prescindere dal tempo che ci passa e quindi esentato dall’imposizioni dello stato ospitante.
La norma di nuova introduzione vìola così una norma europea direttamente applicabile (vedi Sentenza della Corte di Giustizia – quinta sezione – nella causa Klattner del 29. maggio 1997, C-389/95) e prescinde dal concetto di normale residenza e dai 6 mesi concessi a ogni cittadino EU di circolare con un’auto estera sul territorio italiano. Infatti, punendo il residente in Italia da più di 60 giorni che è alla guida di un’auto con targa estera, di fatto lo si costringe a immatricolare l’auto in Italia e a pagare il bollo auto contravvenendo palesemente alla franchigia dalle imposte di cui sopra.
Non solo, il divieto di circolazione sembra confliggere con il diritto di libera circolazione dei cittadini europei (art. 21 TFUE) nonché dei lavoratori (art. 45 TFUE).
Infatti le sanzioni previste potrebbero essere un disincentivo a recarsi in Italia p.e. alla ricerca di un nuovo impiego.
Pertanto, tutte le sanzioni ex art. 93 CdS emesse in presenza dei requisiti per l’applicazione della franchigia UE sono da considerare illegittime e, avendo sicuramente provocato un danno ingiusto, fanno sorgere in capo allo Stato Italiano una responsabilità per danni derivanti dal contrasto tra la normativa interna e una norma europea direttamente applicabile.
Il Giudice chiamato a giudicare su opposizioni a sanzioni amministrative dovrà disapplicare la legge interna incompatibile o, perlomeno, procedere a rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea affinché si pronunci sul contrasto.
Ma non è solo europea la normativa a cui i presunti trasgressori possono appellarsi per chiedere giustizia. La Convenzione internzionale sulla circolazione dei veicoli, del 8 novembre 1968, ratificata in Italia con L. n. 308/1995 ha tra gli scopi quello di regolare la “circolazione internazionale” dei veicoli tra gli Stati aderenti. In particolare, all’art. 1), dispone:
(…)
b) un veicolo è detto in “Circolazione internazionale” sul territorio di uno Stato quando:
i) appartiene ad una persona fisica o morale che ha la propria residenza fuori di detto Stato;
ii) non è immatricolato in detto Stato;
iii) e vi è temporaneamente importato;
Ogni Parte contraente restando, tuttavia, libera di rifiutare di considerare in “circolazione internazionale” ogni veicolo che sia rimasto sul suo territorio per un periodo superiore ad un anno senza interruzione di rilievo, della quale la Parte contraente può fissare la durata.
Segue poi, all’art. 3, c. 3,: “Con riserva delle deroghe previste nell’allegato 1 alla presente Convenzione, le Parti contraenti saranno tenute ad ammettere in circolazione internazionale sul loro territorio gli autoveicoli ed i rimorchi che soddisfano alle condizioni definite dal capitolo III della presente Convenzione ed i cui conducenti soddisfano alle condizioni definite dal capitolo IV; esse saranno tenute anche a riconoscere i certificati di immatricolazione rilasciati in conformità con le disposizioni del capitolo III come attestanti, fino a prova contraria, che i veicoli che ne sono oggetto soddisfano alle condizioni definite nel suddetto capitolo III.”(testo in italiano allegato alla legge di ratifica n. 308/1995, GU n.174 del 27-7-1995 – Suppl. Ordinario n. 92).
Il contrasto con questa Convenzione si avrà tutte le volte in cui il veicolo di proprietà di un residente all’estero ma nella temporanea disponibilità di un residente in Italia sia sottoposto a sequestro ex art. 213 CdS poiché se ne impedisce la circolazione sul territorio italiano.
Notoriamente le Convenzioni internazionali di cui l’Italia è parte, hanno il rango di norma interposta nel nostro ordinamento (art. 117 Cost.) e sono perciò elevate a parametro di legittimità delle leggi ordinarie. Per questo motivo domandare il rispetto della Convenzione sarà più complesso in quanto dovrà passare da una questione di legittimità costituzionale ma non per questo il rimedio sarà meno efficace.
Il legislatore, accecato da un giustizialismo feroce, ha ideato una norma che non contribuisce a risolvere il problema che dichiara voler affrontare e, al contrario, colpisce moltissimi cittadini europei o extraeuropei che esercitano legittimamente il loro diritto di circolazione. Per fortuna, a tutela delle vittime di questo legiferare da campagna elettorale si ergono le norme europee e convenzionali di cui si auspica una celere applicazione: già troppe sanzioni hanno danneggiato ignari automobilisti.
Concludiamo rilevando che, evidentemente, gli organi accertatori hanno sollevato qualche dubbio sull’applicazione del nuovo divieto suscitando la reazione del Ministero Dell’Interno che ha emanato le Circolari n.300-A-245-19-149-2018-06 del 10 gennaio 2019 e n. 300-A-4983-19-149-2018-06 del 04 giugno 2019
Le posizioni assunte nelle dette circolari rasentano, alla luce di quanto sopra, l’assurdo. In particolare la Circolare del giugno, nel nobile intento di tutelare la categoria dei lavoratori stagionali, dispone che “la residenza normale (ndr. permanenza in uno stato membro per oltre 185 giorni) non può ritenersi equiparata alla residenza anagrafica risultante dall’iscrizione ai registri di un Comune. Pertanto, il titolare di residenza normale in Italia può condurre il veicolo immatricolato all’estero del quale dispone a qualunque titolo, salvo che ivi non acquisisca la residenza anagrafica. (…) si ritiene che le disposizioni dell’art. 93 (…) non possano trovare applicazione nei confronti delle persone aventi residenza all’estero che lavorano o collaborano, in  modo stagionale, (…) e che abbiano residenza temporanea, ovvero normale, in Italia.”
Il caos ha così raggiunto l’apice: secondo il Ministero nessuna sanzione dovrà essere comminata a chi dimora per più di 185 giorni in Italia se non si è iscritto all’anagrafe italiana. Tuttavia, come si è detto sopra, erano proprio queste le uniche situazioni che secondo il diritto europeo vigente potevano essere sanzionate!
È auspicabile un rapido e sobrio intervento del legislatore che si potrebbe limitare a sostituire nell’art. 93, comma 1 bis, CdS il termine di “60 giorni” con “6 mesi”.
Avv. Aaron Jorgos Lau

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